Sulla ricerca si gioca il futuro della farmaceutica europea

EDITORIALE

di Alessandro Bignami | INTERPROGETTI – Rivista dell’Industria Chimica e Farmaceutica https://icfed.it/

La ricerca farmaceutica sta vivendo una fase di grande fermento, con un impatto sempre più evidente sulla qualità e le aspettative di vita dei pazienti, grazie per esempio al forte sviluppo delle terapie geniche e cellulari. Certamente sono molte le sfide su cui resta molto da fare, a partire dal trattamento dell’Alzheimer, della sclerosi multipla, di alcuni tumori e di diverse malattie rare. Ma i progressi scientifici e tecnologici, anche grazie all’accelerazione impressa dall’intelligenza artificiale, alimentano le speranze di ottenere, in un futuro non troppo lontano, miglioramenti persino nella cura di patologie oggi molti difficili da contrastare.

I passi avanti della ricerca in questi ultimi decenni hanno alle spalle grandi investimenti da parte dell’industria farmaceutica, che nei paesi avanzati rappresenta da tempo un settore chiave e ad alta tecnologia.

L’Europa è stata protagonista di questa evoluzione, affermandosi come un faro nel campo della ricerca e della produzione di farmaci a elevato tasso innovativo. Oggi il pharma continentale conta 950mila occupati diretti, che vanno triplicati nell’indotto, e 55 miliardi di euro investiti in ricerca e sviluppo nel 2024, secondo quanto riportato da PwC.

Negli ultimi anni però lo scenario è cambiato e ha visto l’Europa perdere terreno nel settore farmaceutico, rispetto alle grandi potenze economiche e tecnologiche come Cina e Stati Uniti. Si è inoltre fatta insidiare da paesi emergenti come India e Brasile, dove si stanno spostando molte attività produttive e di R&D. Nel 2024 il primo mercato è stato quello nordamericano, con il 54,8% delle vendite globali contro il 22,7% dell’Europa. Qui sono stati lanciati il 15,8% dei nuovi farmaci, a larga distanza dal 66,9% registrato dagli Stati Uniti, secondo i dati Iqvia Midas. L’anno scorso, nel lancio di nuove molecole l’Europa con 18 è risultata terza dopo Cina (28) e Stati Uniti (25). Per questo gli operatori europei confidavano in un accordo favorevole e specifico sui dazi relativi allo scambio dei medicinali fra Ue e Usa, che invece sono stati inclusi nella tariffa del 15%, salvo esenzioni per alcuni medicinali generici e fuori brevetto, sebbene ancora non sia chiaro quali. L’incertezza ormai prolungata, l’aggressiva competizione globale e la complessità della normativa europea hanno contribuito a questo principio di declino, che rischia di essere intensificato dai dazi di Trump. Ora il vecchio continente deve sapere tornare ai vertici del settore globale, facendo leva sulle sue grandi potenzialità in termini di competenze, tecnologie e strutture di ricerca. Per fare questo non serve solo l’impegno dell’industria, ma anche una voce politica più univoca e coesa, che sappia sostenere tutto il valore del pharma europeo.